In_Chiostri 2018. Rassegna cinematografica
giovedì 20 settembre 2018
Venerdì 21 settembre, con la proiezione diI pugni in tascadi Marco Bellocchio avrà avvio, presso il museo archeologico "Ribezzo", la rassegna cinematografica di film del e sul Sessantotto prevista nell'ambito di In_Chiostri 2018.Il potere dell'immaginazione.
A proposito del film, Jean De Baroncelli scrisse su "Le Monde": "Attaccando direttamente la cellula familiare, che è in Italia la meglio protetta e la più rispettata di tutto il corpo sociale, denunciando con una violenza sbalorditiva la commedia dei buoni sentimenti che regge le relazioni tra i genitori e i figli e dei figli tra di loro, Marco Bellocchio si rivolta anche contro tutte le altre convenzioni, morali, religiose e borghesi che soffocano i suoi eroi". Bellocchio descriveva una generazione che andava acquisendo, tra molte contraddizioni, la consapevolezza dei limiti di un'istituzione familiare quale era stata sino a quel momento interpretata. Roger Tailleur(“Positif”, n. 72, dicembre 1965) rilevò:
"Bellocchio mostra a profusione, con un umorismo acido che simula l’oggettività. Benché nascosto dietro l’alibi patologico, afferma con violenza cose che gli stanno a cuore, attraverso questa sorta di incubo buffonesco di cui ha probabilmente sognato le premesse, e che porta sullo schermo spingendolo ai suoi limiti estremi. Contrario a ogni ordine familiare e religioso, se ne vendica attraverso un oltraggio sfrenato, ma allo stesso tempo si guarda bene dall’identificarsi totalmente con il suo saccheggiatore, che caratterizza, mi pare, con alcune notazioni naziste (pronuncia in tedesco i suoi soliloqui blasfemi, stermina preferibilmente gli infermi…).I pugni in tasca, premiato a Locarno, invitato a Venezia, Rio, New York, Acapulco, fa il suo giro del mondo. Non è che giustizia per Bellocchio, la sola grande rivelazione dell’anno". Alberto Moravia scrisse (“L’Espresso”, 2 gennaio 1966) comeMarco Bellocchio avesse "dato fondo in questo suo I pugni in tascaa tutto ciò che di solito costituisce il mondo della giovinezza. In questo film c’è di tutto, davvero: odio e amore della famiglia, ambiguità dei rapporti fraterni, attrazione verso la morte, entusiasmo per la vita, volontà astratta di azione, furore impotente, malinconia morbosa, violenza profanatoria e infine, a sfondo di tutto questo, il senso cupo e fatale di una provincia senza speranza. Questa complessa e torbida materia non è però espressa in maniera crepuscolare come quasi sempre avviene nel cinema e nella letteratura italiana, bensì è affrontata, caso raro, drammaticamente. Il regista ha sentito che la violenza della sua polemica contro una certa società non poteva giustificarsi se non esplodendo in tragedia; e così si è posto il problema di come arrivare a inserire fatti grossi quali il matricidio e il fratricidio senza far saltare la fragile cornice naturalistica.
A proposito del film, Jean De Baroncelli scrisse su "Le Monde": "Attaccando direttamente la cellula familiare, che è in Italia la meglio protetta e la più rispettata di tutto il corpo sociale, denunciando con una violenza sbalorditiva la commedia dei buoni sentimenti che regge le relazioni tra i genitori e i figli e dei figli tra di loro, Marco Bellocchio si rivolta anche contro tutte le altre convenzioni, morali, religiose e borghesi che soffocano i suoi eroi". Bellocchio descriveva una generazione che andava acquisendo, tra molte contraddizioni, la consapevolezza dei limiti di un'istituzione familiare quale era stata sino a quel momento interpretata. Roger Tailleur(“Positif”, n. 72, dicembre 1965) rilevò:
"Bellocchio mostra a profusione, con un umorismo acido che simula l’oggettività. Benché nascosto dietro l’alibi patologico, afferma con violenza cose che gli stanno a cuore, attraverso questa sorta di incubo buffonesco di cui ha probabilmente sognato le premesse, e che porta sullo schermo spingendolo ai suoi limiti estremi. Contrario a ogni ordine familiare e religioso, se ne vendica attraverso un oltraggio sfrenato, ma allo stesso tempo si guarda bene dall’identificarsi totalmente con il suo saccheggiatore, che caratterizza, mi pare, con alcune notazioni naziste (pronuncia in tedesco i suoi soliloqui blasfemi, stermina preferibilmente gli infermi…).I pugni in tasca, premiato a Locarno, invitato a Venezia, Rio, New York, Acapulco, fa il suo giro del mondo. Non è che giustizia per Bellocchio, la sola grande rivelazione dell’anno". Alberto Moravia scrisse (“L’Espresso”, 2 gennaio 1966) comeMarco Bellocchio avesse "dato fondo in questo suo I pugni in tascaa tutto ciò che di solito costituisce il mondo della giovinezza. In questo film c’è di tutto, davvero: odio e amore della famiglia, ambiguità dei rapporti fraterni, attrazione verso la morte, entusiasmo per la vita, volontà astratta di azione, furore impotente, malinconia morbosa, violenza profanatoria e infine, a sfondo di tutto questo, il senso cupo e fatale di una provincia senza speranza. Questa complessa e torbida materia non è però espressa in maniera crepuscolare come quasi sempre avviene nel cinema e nella letteratura italiana, bensì è affrontata, caso raro, drammaticamente. Il regista ha sentito che la violenza della sua polemica contro una certa società non poteva giustificarsi se non esplodendo in tragedia; e così si è posto il problema di come arrivare a inserire fatti grossi quali il matricidio e il fratricidio senza far saltare la fragile cornice naturalistica.
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