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TRANSIZIONE ENERGETICA A BRINDISI: DALLA PADELLA ALLA BRACE

martedì 23 giugno 2020
TRANSIZIONE ENERGETICA A BRINDISI: DALLA PADELLA  ALLA  BRACEMentre le ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE di Brindisi attendono con ansia la dismissione della centrale a carbone e chiedono un masterplan per la transizione energetica verso le fonti rinnovabili, l’Amministrazione Comunale fa un incontro con CONFINDUSTRIA ed esponenti politici (in gran segreto) presso il comune di Brindisi, per concordare e presentare un progetto che vede Brindisi protagonista di un’altra avventura che di green non ha nulla. Un progetto basato sull’utilizzo dell’ idrogeno, grazie anche ad una legge regionale del 25 Luglio 2019 che promuove (prima regione in Italia) la produzione e l’utilizzo dell’idrogeno come fonte energetica. Il progetto è fatto in collaborazione con un team di multinazionali del gas. Viene spontaneo pensare che la produzione di idrogeno (cosiddetto verde) non disdegnerà di utilizzare il gas metano (cosiddetto naturale) proveniente dal gasdotto TAP e che, al posto della centrale di Cerano, invece di essere chiusa e dismessa una volta per tutte, ne sarà costruita un’altra appositamente per questo scopo. A nulla è valsa la costituzione di una consulta provinciale per l’ambiente, convocata e costituita dallo stesso ente provinciale brindisino, comprendente tutte le associazioni ambientaliste, e che si era riunita proprio poco tempo prima dello scoppio dell’epidemia COVID, con lo scopo di stilare proposte di orientamento alle scelte energetiche future per questo territorio, e che attendeva di essere riconvocata. A nulla sono valse le conferenze stampa e i convegni di varie associazioni e comitati brindisini, che proponevano, con progetti concreti, di realizzare a Brindisi un territorio pilota di energia completamente rinnovabile e di comunità, uscendo dalla logica delle multinazionali, e di uscire dal fossile una volta per tutte.
Il progetto, a quanto sembra, cita il biogas, come fonte primaria per la produzione dell’idrogeno, che non è affatto una fonte green come potrebbe sembrare.
Questo il giudizio di SALUTE PUBBLICA sul Biogas e sulle normative della Regione Puglia recentemente adottate in materia.
“La Regione si spinge a definire questa tecnologia “consolidata e che assicura la massima tutela per la salute pubblica e la tutela dell’ambiente in tutte le sue componenti.”
Niente di più falso
C’è molta confusione sulla reale tipologia di questi impianti e sulle ricadute ambientali. Facciamo chiarezza. Questi impianti dovrebbero trattare la Forsu (frazione organica rifiuti solidi urbani) a cui possono essere aggiunti alcuni rifiuti speciali non pericolosi (fanghi di depurazione, liquami, letame, scarti di natura animale) che, attraverso diversi processi produttivi, ricavano biogas e compost.
Il biogas ricavato dalla digestione anaerobica serve, attraverso la combustione, alla produzione di energia elettrica. Il digestato, anch’esso risultato della digestione anaerobica, viene convertito in compost con un successivo processo aerobico. La digestione anaerobica con biogas per la produzione di energia elettrica ha molte controindicazioni ambientali dovute principalmente alla combustione del biogas. Per meglio comprendere la pericolosità di questa tipologia di impianti occorre procedere con ordine e analizzare i possibili impatti ambientale e sanitari. Innanzitutto sarebbe meglio parlare al plurale (i biogas), considerando l’enorme variabilità della miscela che lo compone. Questa variabile è amplissima e dipende oltre che dalle matrici utilizzate anche dalle condizioni ambientali. I biogas più ricchi di contaminanti sono quelli derivati da discarica e da fanghi, ma anche quelli da rifiuti organici e agricoli non sono certo puliti e la loro combustione non è priva di conseguenze.
Le variazioni di composizione sono importanti perché comportano la presenza di composti dannosi per la salute umana e per l’ambiente quando vengono immessi in atmosfera. Agli effetti delle emissioni di composti nocivi vanno sommati quelli che riguardano i COV (composti organici volatili). Oltre a presentare vari gradi di tossicità cronica i COV sono anche responsabili di odori molesti. L’esposizione a emissioni maleodoranti può causare sintomi secondari come nausea e ipersensibilità. I COV si formano anche per modificazione di composti già presenti durante il processo di digestione anaerobica.
La digestione anaerobica inoltre produce percolato e scarti non compostabili che devono a loro volta essere smaltiti come rifiuti speciali pericolosi e disposti in discarica.
Questa tipologia di impianti è inoltre energivora e solo con l’accesso agli incentivi statali (incremento consistente del prezzo di acquisto da parte del gestore) e alla produzione di certificati verdi, evita di chiudere in perdita il ciclo produttivo. Spesso questi incentivi sono il vero core business di tali impianti.
I problemi che si pongono sono quindi molteplici: emissioni in atmosfera, polveri sottili, odori, scarti e rifiuti, rumori, rischi sanitari, rischi idrogeologici, traffico e inquinamento.”
Insomma come dire dalla “padella alla brace”.




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