l’homo sapiens seguiva la dieta mediterranea
lunedì 21 settembre 2015
Una macina e un macinello in pietra stanno rivoluzionando le conoscenze sull’alimentazione dei primi Homo sapiens. E’ infatti emerso che l’uomo preistorico era più vegetariano di quanto fino ad ora fosse noto e già 30.000 anni fa si nutriva di farine ricavate macinando varie piante selvatiche; potremmo dire che già ‘seguiva’ la dieta mediterranea! Sono alcune delle clamorose scoperte documentate nella mostra “30.000 anni fa la prima farina. Alle origini dell’alimentazione” allestita da oggi al 3 gennaio allo Spazio Mostre dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze (via Bufalini 6) a cura di Anna Revedin dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Biancamaria Aranguren della Soprintendenza Archeologia della Toscana e di Fabio Santaniello dell’ Università di Trento. Si tratta della rappresentazione, con un forte taglio divulgativo e anche scenografico, dei primi risultati del progetto di ricerca dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria “Le risorse vegetali nel Paleolitico” condotto da Revedin in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia della Toscana e con il Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze e reso possibile dal contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Tutto è nato dalla scoperta di una macina, usata per produrre la più antica farina della storia, e di un macinello-pestello avvenuta nel 1992, tra i circa 40.00 manufatti rinvenuti in uno scavo in località Bilancino, nel Mugello, oggi sommerso da un invaso artificiale che fornisce l’acqua a Firenze. Le analisi condotte su questi oggetti, e sui sedimenti che ancora erano presenti, hanno infatti rivelato che i nostri progenitori del Paleolitico superiore erano già in grado di trasformare, elaborare e consumare prodotti derivati dalla raccolta dei vegetali selvatici, creando in qualche modo le premesse tecniche per un processo che diventerà parte integrante della ”invenzione” dell’agricoltura, circa 10.000 anni fa. Un’altra importante scoperta, appena pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica “Proceedings of the National Academy of Sciences” (Usa) e legata a questo progetto, aggiunge importanti elementi sulla dieta dei nostri antenati. A Grotta Paglicci, in Puglia, dove Annamaria Ronchitelli dell’Università di Siena conduce le ricerche, su un pestello di 33.000 anni fa sono state trovate tracce di amidi di varie piante selvatiche. Per la prima volta è testimoniato l’utilizzo di un cereale – l’avena – che sarà coltivato solo migliaia di anni dopo e ancora molto utilizzato in Nord Europa, ad esempio il porridge, e che sta suscitando grande interesse da parte dei nutrizionisti per le sue molteplici proprietà alimentari, compresa l’assenza di glutine e il basso indice glicemico. Inoltre le analisi di laboratorio, svolte dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, hanno dimostrato che l’avena veniva tostata già allora prima della macinazione, come ancora oggi viene fatto, per migliorarne le proprietà alimentari e organolettiche. Cambia così lo scenario delle conoscenze sull’economia e la vita di 30.000 anni fa e molte sono le implicazioni di questa scoperta. Dalla possibilità di conservare e trasportare un alimento altamente energetico, alla elaborazione di ”ricette”, necessarie per rendere digeribili i carboidrati attraverso vari tipi di cottura, fino a ricostruire una complessa gestione delle risorse del territorio. Queste scoperte mettono anche in evidenza l’importanza della raccolta, attività tradizionalmente svolta dalle donne, e quindi degli alimenti vegetali nella dieta umana fin dal Paleolitico. Si ridimensiona così il ruolo finora attribuito alla caccia dovuto al fatto che gli animali costituivano il soggetto principale dell’arte rupestre paleolitica e che le loro ossa si conservano molto meglio dei resti vegetali.
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